Project Description
Fabio Mauri (Roma 1926 – 2009), Dramophone
Carboncino su carta di cm 17 x 20 datato (76) in basso a destra. Opera archiviata presso lo Studio Fabio Mauri, presieduto da Achille Mauri, al n. 10/2016.
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L’opera qui presentata, un foglio sul quale diversi cerchi concentrici realizzati a matita con il compasso evocano la forma del giradischi con la puntina posizionata sulla sezione centrale del long playing, è una versione, in formato ridotto, del disegno raffigurante un grande disco, che campeggiava sulla parete della prima di tre “stazioni” della performance “Dramophone”, eseguita da Fabio Mauri, a Roma, presso lo Studio Cannaviello nel 1976.
Nella prima stazione dell’azione scenica, dal titolo “Pessimismo”, si vedeva un cane vero davanti ad un vecchio grammofono, allusione al marchio discografico della Deutsche Grammophon (la Voce del Padrone), quale emblema ambiguo del mondo. Sulla parete era posto proprio il disegno di un grande disco, metafora di un mondo già inciso, rimando ad una predeterminazione del destino, tema ricorrente nella ricerca artistica condotta dall’autore. Nella seconda stazione, “Scetticismo e dolore”, un gruppo di giovani in mezzo al pubblico danzava a tratti su musiche rivoluzionarie accanto ad un cesto di rose rosse, davanti alle immagini a parete del poeta Majakovskij, idolo intellettuale, e del generale Huerta, assassino del ribelle messicano Emiliano Zapata, simbolo virtuoso di ribelle effettivo. Nell’ultima stazione “Cinismo, psicologia, e virtù nazionale” un anziano attore cinematografico, Fjodor Chaliaplin Jr., figlio del grande basso russo Chaliaplin, seduto su una poltrona, raccontava la sua biografia, rispondendo alle domande del pubblico su alcuni eventi della Rivoluzione Russa del 1917.
La performance è da intendersi, pertanto, come una raffinata riflessione sulla necessità di interrogarsi di fronte alla storia, perno centrale di tutta la poetica di Fabio Mauri. “Senza storia, ossia senza analisi critica, – ha dichiarato a più riprese Mauri – non c’è possibilità di giudizio. La Storia lo è, è un giudizio possibilmente, profondo”.
Nell’ultima stazione della performance “Dramophone” viene quindi proposta, come ha notato Dora Aceto, un’immagine non – immagine delle storie del mondo, evidenziando la necessità del metodo storico-critico per la resa di un giudizio finale esercitato dalla memoria proiettata nel presente: il presente mostra le metodologie abituali degli eventi, per cui è confrontabile, aiuta nella diagnosi interpretativa dei fatti storici.