Project Description

Antonio Mancini ( Roma 1852 – 1876 ), Fanciullo seduto di profilo (1874)

Olio su tavoletta di cm 14 x 7,6 firmato ( AMancini ) in basso a destra. Iscritto al verso: “Mancini dalla / 1° maniera / dall’opera di Fortuny”.

Pubblicazioni

C. Virno, Catalogo ragionato dell’opera. La pittura a olio / Repertori. Ediz. Illustrata, 2019, p. 160, n. 133

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“I have met in Italy the greatest living painter”, ovvero “ho conosciuto in Italia il più grande artista vivente”. Con queste parole, riportate sul catalogo della esposizione di opere, realizzate da Mancini durante il periodo inglese, tenutasi alla fine del 1928 presso la galleria Knoedler, il grande pittore statunitense John Singer Sargent ricordava l’incontro con il maestro napoletano avvenuto agli inizi del Novecento, reduce dal grande successo parigino ottenuto con il “Ritratto della signora Pantaleoni”. Un giudizio, quello di Sargent, lucido ed oggettivo, se si pensa alla straordinaria modernità del ductus pittorico di Mancini, il quale, nonostante la precaria tenuta psichica che gli causò nei primi anni Ottanta dell’Ottocento un periodo di degenza presso il manicomio provinciale di Napoli, riuscì a guadagnarsi un posto di assoluto rilievo nella pittura europea a cavallo dei due secoli.

L’opera presentata in questa sede si configura come documento importante all’interno del percorso artistico del maestro napoletano: si tratta infatti, con ogni probabilità, di un ritratto giovanile, databile al 1874 circa, realizzato durante il suo periodo di formazione, di cui oggi ci sono rimaste ben poche testimonianze. Un arco di tempo in cui Mancini inizia a prendere le distanze dalla pittura accademica, per cimentarsi nello studio dal vero, ritraendo modelli occasionali trovati in strada e prendendo spunto dallo spettacolo della vita popolare. In questo profilo di fanciullo, infatti, si scorgono in nuce le caratteristiche peculiari di una maniera pittorica che si farà via via più agitata e focosa: gli improvvisi sprazzi di luce, i colori violenti, spesso deposti sulla tela in grumi e accese colate, si intravedono nella costruzione di questa figura di giovinetto, quasi un incunabolo per la raffigurazione degli scugnizzi napoletani, la cui fanciullezza negata dalle misere condizioni di vita, descritta con intenso realismo e al contempo trasfigurata in chiave mitica, diventerà uno dei temi prediletti dalla tavolozza del pittore.

Al contempo, l’iscrizione, riportata sul verso della piccola tavola, rimanda ad uno degli incontri fondamentali per la formazione di Mancini: nell’estate del 1874, con Gemito, Michetti e Eduardo Dalbono, frequenta infatti assiduamente la villa Arata di Portici, dove, a partire dal mese di luglio, risiedette con la famiglia di Mariano Fortuny, nei mesi a immediato ridosso della morte improvvisa del maestro spagnolo, avvenuta a Roma il 14 novembre di quell’anno. L’incontro, fondamentale – come per gli altri artisti napoletani – in ragione delle straordinarie suggestioni pittoriche ed estetiche innescate dalla frequentazione del maestro spagnolo, rappresentò per Mancini la possibilità di venire finalmente conosciuto da Adolphe Goupil, il celebre mercante francese sostenitore dei più vivaci talenti pittorici e decorativi del momento, che creò le condizioni per un suo trasferimento successivo a Parigi.