Project Description

Luigi Bazzani (Bologna 1836 – Roma 1927), Paesaggio innevato

Acquarello su carta di cm 27,5 x 48 firmato in basso a destra.

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Nella carriera artistica di Bazzani il suo interesse di natura archeologica dimostrata nella produzione degli studi condotti a Pompei, convive con la passione per la scenografia teatrale. Bazzani fu impegnato, infatti, nei maggiori avvenimenti della vita teatrale del tempo: alcune prime assolute, molte novità per Roma e soprattutto interessanti riprese dei repertorio tradizionale. Collaborò alla prima esecuzione in Italia della “Forza del destino” di G. Verdi (1863, col titolo “Don Alvaro”)e ideò alcune delle scene per “Gli Ugonotti” (1864) e “L’Africana” (1868) di Meyerbeer, per “Anna Bolena” di Donizetti (1870), il ballo “Brahma” di I. Monplaisir (1870; musiche di C. D’all’Argine), “Virginia” di S. Mercadante (1872), Il “Conte Verde” (1873) e “Sardanapalo” (1880) di G. Libani, “Freischütz” di K. Weber (1873), “Lohengrin” (1878, la prima opera di Wagner a Roma), “Il Re di Lahore” di J. Massenet (1878).

Nel 1884 dipinse il nuovo comodino del teatro, in rosso scuro, con una decorazione geometrica di scudi rossi e azzurri in campo bianco. Lavorò nel frattempo per altri teatri, a Roma (all’Argentina e al Costanzi, inaugurato nel 1880) e in altre città italiane: Catania, Viterbo, Spoleto, Fabriano, Vigevano, Cento, dipingendo per queste ultime soprattutto scene di dotazione. A Orvieto, nel 1866, aveva collaborato con Fracassini all’esecuzione del nuovo sipario. Per il Teatro Argentina di Roma firmò assieme a G. Ceccato le scene della Vendetta slava di P. Platania (1867-68) e delle Due amiche di Teresa Seneke (1869), mentre non è documentabile, ora, la sua attività presso il Costanzi.

Luigi Bazzani

Quale scenografo, Bazzani rappresenta la migliore tradizione tardo ottocentesca. Dalla giovanile formazione bolognese aveva imparato a costruire la scena con severo rigore prospettico; la consuetudine di pittore vedutista gli aveva insegnato a considerarla più come un quadro potenziale che come una “scatola” illusionistica. Preferiva perciò risolvere la maggior parte della composizione sul fondale, riducendo quanto possibile, il numero delle quinte e degli spezzati.

Costruiva la scena con esattezza metodica, utilizzando opportunamente qualsiasi piantazione (simmetrica, su diagonale unica a forte lontananza, senucircolare), ma senza concessioni virtuosistiche e mirando poi a dissimulare la macchina costruttiva e prospettica, dissolvendo il disegno nel gioco violento dei colori e nei contrasti effettati delle luci. La trovata scenica verteva infatti quasi sempre sull’impiego imprevedibile dell’elemento luce-colore, come dimostrato da questo paesaggio innevato, probabilmente uno studio preliminare per una scenografia teatrale – lo si desume dalla quadrettatura a matita ancora visibile sulla superficie pittorica dell’acquarello – nel quale la fitta trama dei rami spogli in primo piano e sullo sfondo le architetture del centro abitato – probabilmente, Mosca – sono messi in evidenza da rapidi colpi di biacca.