Project Description

Franco Angeli (Roma 1935 – 1988), Cimitero

Olio su carta di cm 50 x 70 firmato (Angeli) e datato (1962) in basso a destra e intitolato (cimitero) in basso a sinistra con autentica su fotografia a cura dell’archivio Franco Angeli curato da Maria Angeli e autentica su fotografia rilasciata dallo Studio Soligo.

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A partire dagli anni Sessanta, Franco Angeli utilizza immagini e simboli ideologici stereotipati, tratti dall’arredo urbano, che richiamano il carattere retorico e celebrativo dei reperti di una Roma eterna. L’artista oltrepassa il riferimento a modelli pop statunitensi ed estrae da quelle immagini nuovi significanti. Emblemi ideologici, falci e martello, svastiche, in quanto simbologie ancestrali agiscono direttamente sull’inconscio collettivo. Questa carta, datata agli inizi degli anni Sessanta, rientra nella serie dei Cimiteri, realizzati a partire dal 1961 e eseguiti a tamponi con la ripetizione seriale di croci e svastiche.

Una tecnica che, come ha scritto Calvesi nel 1970, precisandone il valore di messa a fuoco e di dissolvenza dedotto anche dai procedimenti fotografici e dal cinema, si basa sulla stratificazione e l’evanescenza: due valori che non sono lirismo fine a se stesso, ma espressione di “interiorità morale” nella ricerca artistica condotta da Angeli. Il ricordo del dramma del secondo conflitto mondiale e delle devastazioni prodotte da ideologie disumane viene impresso sulla carta dall’artista, rendendo il supporto una sorta di radiografia di un dolore privato e allo stesso tempo collettivo.

Franco Angeli

Avvicinatosi alla pittura, frequentando lo studio dello scultore Edgardo Mannucci (1904 – 1976), Franco Angeli si è accostato alle esperienze astratto-materiche, in particolare di Burri, agli esordi della sua carriera artistica: dalla fine degli anni Cinquanta ha sperimentato tecniche e materiali diversi: ad esempio, tele trattate con calce, ricoperte di garza o velina, smalto, ricalco, impronta. La sua ricerca, tesa a superare l’informale, lo ha accomunato a Tano Festa e a Mario Schifano con i quali ha spesso esposto, costituendo quella che è stata definita come la “Scuola di piazza del Popolo”.

Dal 1964 ricorrono nelle sue opere segni-simbolo come la lupa capitolina, il dollaro e loghi politici, che denunciano il sostrato ideologico e il suo impegno sociale, ma il velo sottile che spesso li ricopre conferisce loro nuove valenze, circoscrivendoli in ambiti di riflessione quali la memoria, la contemplazione e il distacco.