Project Description

Edina Altara (Sassari 1898 – Lanusei 1983), Rose di Barbagia

Collage di carte colorate su cartoncino nero di cm 46 x 38 firmato (Edina Altara) in basso a sinistra e intitolato in basso a destra.

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Il critico d’arte Raffaello Giolli, che già nel 1916 aveva iniziato a parlare di Edina Altara, apprezzava così tanto la ricerca artistica della giovane pittrice sarda, che nel 1917 le dedicò la copertina del numero di maggio di «Pagine d’Arte», scegliendo una versione, diversa per alcuni piccoli dettagli differenti, del collage presentato in questa sede, ovvero “Le Rose di Barbagia”, opera datata 1915 e esposta a Milano alla Mostra Sarda del 1917. Prendendo le mosse proprio da questo montaggio raffinatissimo di carte colorate, Giolli si soffermava con queste parole sulla poetica della Altara:

“Le tre macchie rosse delle Rose di Barbagia hanno questo senso dell’improvviso uscente, danno l’evidenza di questo interno e violento istinto pittorico

[…] Qui vedete bene invece l’unità organica di queste macchie impetuose. Delle macchie rosse uscite sul foglio nero e colate giù fluide a lasciar laghetti fosforescenti. Delle macchie bianche. Delle masse nere misteriosamente alzate nel fondo nero. Le Rose di Barbagia non sono davvero soltanto tre donne in costume sardo. […] Perché l’intuizione pittorica è uscita in questa sua sostanziale e schietta purezza fantastica: di piani alzati su curve ritmiche, di toni pieni e vibranti, saldi larghi vigorosi, costruiti soltanto per la gioia d’una calda architettura che può contenere tutti i sogni. Guardate come ha saputo mettere il bianco su bianco : con quale accurata pazienza ha ritagliato nella sua carta quelle piccole labbra, quelle sopracciglia nere. Come è stata attenta anche a un neo malizioso.”

Edina Altara

Nata a Sassari nel 1898, dai giochi infantili con la carta colorata Altara è giunta, grazie anche ai consigli di Giuseppe Biasi, il maggior pittore sardo dell’epoca, a creare giocattoli di cartone e collage raffiguranti tipi e scene popolari sarde. Dei giocattoli, fragilissimi, oggi restano solo delle foto che – a detta degli stessi recensori che le pubblicarono – non fanno loro giustizia. Semplici, coloratissimi e geometrici, fanno pensare ai pupazzi in legno che qualche anno dopo avrebbe cominciato a creare Fortunato Depero, e alle stilizzazioni cubo-futuriste in genere. Quanto ai collage, i migliori dei pochi rimasti, come quello qui presentato, colpiscono per l’esattezza ed efficacia della sintesi. Presentati nel 1916 alla Mostra del Giocattolo di Milano, i lavori di Altara attirano l’attenzione generale; quando Biasi li include nella Mostra Sarda del 1917 al Cova, prima uscita nazionale del movimento artistico sardo, l’autrice appare come una rivelazione. Donna-bambina (al momento del debutto ha appena diciott’anni), autodidatta, non guastata dalla scuola artistica e nemmeno dalla scuola tout court, dedita esclusivamente alla rappresentazione del mondo agropastorale sardo, Altara rispecchia la triade primitivista che unisce al femminile e all’infantile il popolare.