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Carlo Brancaccio (Napoli 1861 – 1920) La visita dello scià di Persia Mozaffar al-Din Shah Qajar all’ippodromo di Ostenda

Acquarello su carta, cm 74,5 x 125, firmato e datato in basso a sinistra: Carlo Brancaccio 1899.

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Nato nel 1861, il pittore napoletano Carlo Brancaccio accantona gli studi di matematica per dedicarsi esclusivamente nel 1883 alla pratica pittorica, sollecitato agli esordi dalle indicazioni dell’amico e collega E. Dalbono. Apprezzato paesaggista, in grado di elaborare una apprezzata ricerca personale, pur prendendo le mosse dall’adozione di istanze e temi figurativi propri di altri pittori a lui coevi, Brancaccio predilige gli scorci e le vedute ambientate a Napoli fissandoli, come scrive lo Schettini, in “impressioni nelle quali la precisione del riferimento paesaggistico veniva come liricizzata in un’atmosfera di spirituale soffusione. In tal modo realizzava in termini personali una sintesi armonica delle due opposte maniere nelle quali allora veniva concepita la pittura di paesaggio e che facevano capo rispettivamente al Dalbono e al Migliaro: l’uno inventore di una Napoli da sogno, l’altro icastico incisore di luoghi e volti” (cfr. A. Schettini, Cento pittori napoletani, 1978).

Carlo Brancaccio

All’interno della produzione del Brancaccio, l’illustrazione di movimentate scene di vita quotidiana dipinte “en plein air” si fa più spontanea, ed allo stesso tempo accurata e graziosa, dopo il suo trasferimento a Parigi: nella capitale della Belle Époque, infatti, il pittore napoletano approda ad una tavolozza più brillante e ad un ductus più moderno, in linea con le più recenti sperimentazioni in ambito impressionistico. Proprio a questo periodo fa riferimento l’acquarello presentato in questa sede, nel quale Brancaccio immortala nel 1899 l’ippodromo di Ostenda, distrutto nel corso del secondo conflitto bellico mondiale. L’eclettica architettura del circuito, progettato nel 1883 da Antoine Dujardin su di un’area occupata originariamente dal “Fort Royal”, un antico forte napoleonico, viene raffigurata dal pittore napoletano con assoluta acribia: il piccolo castello, la tribuna centrale, le due torri scandiscono ritmicamente la struttura dell’ippodromo, divenuto rapidamente teatro della vita mondana transalpina.

L’ippodromo di Ostenda, denominato Wellington, dal titolo del duca Arthur Wellesley che nel 1883 inaugurò, con il re Leopoldo II, le corse dei cavalli ivi ospitate, fu utilizzato anche come prestigiosa cornice di visite ufficiali, alla cittadina belga, da parte di illustre personalità politiche del tempo, come lo scià di Persia, Mozaffar ad-Din Shah Qajar. Proprio quest’ultimo viene raffigurato da Brancaccio, appoggiato alla ringhiera, in primo piano nel registro inferiore del dipinto: i vistosi baffi arricciati, il tipico fez rosso, il lungo soprabito elegante connotano la figura del sovrano iraniano, circondato da un capannello composto da notabili e ufficiali dell’esercito. Autentico ritratto calato dal pittore napoletano nell’indistinta folla accorsa, in una giornata uggiosa, ad un ippodromo brulicante di volti, sguardi, gesti, termometro del fermento e della palpitante mondanità della Belle Époque, la presenza dello scià di Persia eleva il dipinto ad importante documento storico delle relazioni instauratesi fra Oriente e Occidente sul finire del XIX secolo.