Project Description

Carla Accardi (Trapani 1924 – Roma 2014), Segni

Tempera alla caseina su cartoncino di cm 96 x 65 firmato (Accardi) e datato (64) in basso a sinistra con autentica rilasciata dall’Archivio Accardi SanFilippo di Roma.

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Otto biennali all’attivo, prolifica e vitale, Carla Accardi, la signora dell’astrattismo italiano, appartiene a quella generazione di donne che a partire dagli anni Quaranta, ha decretato la fine dell’emarginazione della creatività femminile. Quest’opera si colloca in una fase cruciale dell’itinerario condotto dall’artista siciliana. Realizzata nel 1964, costituisce una delle ultime prove della sua ricerca, intrapresa sin dalla metà degli anni Cinquanta, orientata nella direzione dell’automatismo segnico: la poetica del segno-colore, che si articola per insiemi di segmenti pittorici stesi su fondi omogenei, è il fil rouge che lega le opere esposte nella personale della Accardi alla Biennale di Venezia, proprio nel 1964, anno di realizzazione di quest’opera, lavoro “autorigenerativo” che focalizza l’attenzione sulla sua calligrafia pittorica inconfondibile, marchio di fabbrica della sua produzione.

La proposta artistica manifestata in occasione dell’importante vetrina veneziana, caratterizzata da una originalità espressiva inedita sulla scena artistica di quegli anni, colloca l’Accardi fra le più raffinate interpreti del Gruppo Forma 1, di ispirazione marxista, ideologia che, nei grafemi simili alla sagoma della falce distribuiti nell’opera qui presentata, appare visibile in filigrana.

Nel 1965, la Accardi abbandona le tempere a favore di vernici colorate e fluorescenti che applica su supporti plastici trasparenti, come il sicofoil, uscendo dalla dimensione del quadro e intervenendo nello spazio, con un approccio alla pratica artistica che inciderà non poco sull’elaborazione di un nuovo linguaggio diffuso in Italia dall’Arte povera, movimento fondato nel 1967 da Germano Celant.

Gli ambienti e le tende – “Tenda”, 1965-66, “Ambiente arancio”, 1966-68, “Triplice tenda”, 1969-71 –, nei quali Accardi dialoga con le esperienze più radicali e innovative del design e dell’architettura italiani, costruiscono degli spazi nomadi e anti-istituzionali, delle «stanze tutte per sé» che riecheggiano la necessità di creare uno spazio separato, precondizione alla pratica femminista dell’autocoscienza, concetto che condivide con la critica militante Carla Lonzi.