Project Description
Agostino Bonalumi (Vimercate 1935 – Desio 2013), Senza titolo
Tecnica mista su tela estroflessa di cm 70 x 70, firmato ( Bonalumi ) e datato ( 83 ) sul retro. L’opera risulta archiviata presso l’archivio Bonalumi di Milano, curato da Fabrizio Bonalumi.
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Dalla sua prima personale nel 1956 alla Galleria Totti di Milano, alle ultime mostre retrospettive, le opere di Agostino Bonalumi hanno fatto il giro del mondo segnando un progressivo alzarsi delle quotazioni negli ultimi 15 anni. Amico di Lucio Fontana, Enrico Baj, Piero Manzoni ed Enrico Castellani, Bonalumi si inserisce nella sfera artistica milanese degli anni Cinquanta.
Già in questo periodo sono chiare le sue tendenze artistiche e la sua scelta di trattare i quadri in modo scultoreo, con una visione da architetto, più che da pittore. Nascono così le prime tele estroflesse che rivelano un forte gusto per la materia e una predilezione per la tridimensionalità. Dipinte con un impasto di cemento e colore, esse si presentano con una superficie ruvida e sbalzata e ben si accompagnano alla ricerca artistica di Manzoni e Castellani con cui Bonalumi forma il gruppo che porta i loro nomi, e che esporrà nel 1958 alla Galleria Pater di Milano, per poi toccare le città di Roma e Losanna.
Una lunga collaborazione in esclusiva con la Galleria del Naviglio di Milano – da cui esce la prima ampia monografia curata da Gillo Dorfles -, diversi inviti alla Biennale di Venezia (dove nel 1970 gli viene assegnata una sala personale), per poi proseguire il suo percorso artistico nell’Africa Mediterranea e negli Stati Uniti. Partecipa alla Biennale di Sao Paulo e alla Biennale dei Giovani di Parigi nel ’67 e nel ’68, e proprio in questi anni nascono le sue opere di pittura-ambiente come “Blu Abitabile”, “Grande Nero”, “Dal giallo al bianco e dal bianco al giallo”, che considerano l’ambiente attività primaria e psicologica dell’uomo.
Agli inizi degli anni Ottanta, e più esattamente al 1983, si data questa estroflessione: è stato lo stesso Bonalumi a chiarire il procedimento di realizzazione di questo tipo di composizione in uno scritto dal titolo “Evoluzione dialettica”: “Nella persistenza della estroflessione cambiano la tecnica, i mezzi, gli strumenti mediante i quali la superficie è spinta verso l’esterno, o ritratta verso l’interno, facendo sorgere il pensiero di uno spazio dietro l’opera”.
La tela estroflessa rappresenta “un principio metodologico, un’invenzione stilistica”, come ha precisato Fiz, per attuare “il superamento del piano rappresentativo” attraverso infinite declinazioni, come la “geometria umanizzata, persino antropomorfa”, sempre con rigore formale e incrollabile coerenza.