Project Description

Adolfo De Carolis ( Montefiore dell’Aso 1874 – Roma 1928 ), Telamone

Olio su tela di cm 76 x 59 firmato in basso a destra.

INFO:  per avere maggiori informazioni

Nel 1907 la Società “Francesco Francia” di Bologna bandisce il concorso per il progetto di compimento e di decorazione del salone dei Quattromila del Palazzo del Podestà, il più prestigioso edificio felsineo: il pittore, incisore, illustratore e xilografo Adolfo De Carolis, già allievo di D. Ferri all’accademia di Belle arti del capoluogo emiliano, sottopone alla commissione – tra i cui membri si trovavano L. Bistolfi, I. B. Supino, G. Moretti, G. Bacchelli – il suo lavoro contrassegnato dal motto “Savena” – il nome del fiume che insieme con il Reno delimita il territorio della città di Bologna – curato nella parte architettonica da R. Brizzi: il progetto, capace di riassumere alla perfezione la “storia e i fasti della città di Bologna”, si aggiudica il primo premio e nel 1911 comincia a prendere forma e realizzazione.

L’impresa decorativa impegna l’artista per circa un ventennio dal 1908 fino alla morte, con lunghe ed alterne vicissitudini, diventando così un’opera centrale all’interno del percorso artistico del De Carolis.

L’operazione, condotta da Adolfo con il fratello Dante, grandiosa e coerente “sintesi immaginaria”, “fusione degli stili in una visione superumana indifferente, celebrativa” (Solmi, 1979), ribadisce la totale reversibilità e duttilità della sua arte; quella natura di “decoratore”, che lungi dall’essere una connotazione negativa, si propone a suo stesso dire come “lo stile che rivela ogni grande artista e fonde sotto un eguale segno rivelatore tutte le diverse espressioni artistiche”.

image001

Il nudo virile, ripreso in torsione, presentato in questa sede, rappresenta un documento importante per ricostruire la gestazione della grande impresa decorativa intrapresa dal De Carolis: costituisce infatti uno studio per la figura di telamone, posto in alto a destra, in una delle vele dedicate ai grandi uomini bolognesi dell’antichità, ed in particolare, al peduccio nel quale si inserisce il console Marco Emilio Lepido, rappresentante del popolo emiliano, ritratto con un lungo mantello sulle spalle, inquadrato di tre quarti, in posizione eretta, con il braccio destro teso in avanti per tracciare la via Emilia.
Nel bozzetto ad olio, l’effetto monumentale del nudo virile mantiene inalterata la consistenza della muscolatura conferendo alle membra poderose un rilievo ancor più materico per l’adozione di locali addensamenti materici che nell’affresco verranno stemperate per l’adozione di tonalità cromatiche più chiare ed evanescenti da sembrare acquarellate: l’ammasso della possente anatomia del telamone, pur ancorato a modelli michelangioleschi, anticipa la disgregazione della forma, tipica della produzione baconiana, soprattutto nell’agglomerato terminale della figura, ponendosi come anello di congiunzione fra l’ideale rinascimentale e la drammatica condizione dell’uomo moderno.